Il percorso artistico del maestro Giuliano Gaigher (Treviglio, 1964) è segnato da una duplice evoluzione, tecnica ed espressiva. Sul piano tecnico, il fascino della materia — sempre avvertito — si è tradotto nella sua produzione prima nell’intreccio degli elementi in vetro, poi nella loro sospensione nello spazio attraverso trame di fili metallici, infine in una sempre più chiara propensione all’impasto, alla fusione di tutti gli elementi (grazie a una ricerca raffinata di forme e materiali differenti) in insiemi polimaterici. Il risultato è un itinerario dalla cultura — intesa come momento in cui l’intervento formatore dell’artista si distingue e si valuta — alla natura, pensata come forma già costruita, come potenza aristotelicamente intesa che sta all’artista di liberare da ciò che è di troppo, dal suo involucro. L’arte come scoperta, come tirar fuori, come atto maieutico.

Speculare l’itinerario espressivo. Lasciando sullo sfondo gli inizi più figurativi (ancorché sempre letti attraverso le lenti geometriche del moderno), Gaigher guadagna con la maturità un linguaggio più evocativo che sottrae sempre più spazi alla percezione per consegnarli al lavoro dell’immaginazione che simbolicamente è chiamata a integrare, chiudere, scolpire il significato.

In questo tragitto rimangono chiare alcune “ossessioni”: sono i temi del valico, del di là, del velo che copre ma lascia intuire, del segno che dice e non dice. Una retorica semplice ma assolutamente efficace che rende libero l’osservatore di piegarne il senso in termini naturali o teologici: la vita, il mondo, insomma, o l’Orizzonte del Senso, sono i confini entro i quali l’estetica di Gaigher si articola. Arte per pensare.